venerdì 13 Dicembre 2024

[Lucca Games 2006] A Scuola da Steve Jackson: seminario per autori di giochi

Alle 13:45 di un affollatissimo terzo giorno di fiera la sala conferenze Þ stata chiusa al pubblico per un incontro faccia a faccia fra Steve Jackson e una ventina di autori di giochi e di realtÓ correlate da tutta Italia.


Presenti anche alcuni addetti stampa fra cui io e Hasimir per Gioconomicon, a raccogliere dati in una maniera che pu? suonare un po’ inconsueta al giorno d’oggi, ovvero con blocco note e penna biro, visto che il noto imprenditore rifiuta qualunque forma di registrazione sia in video che in audio.


Ecco il resoconto del seminario:

Al seminario hanno partecipato questi invitati:


Millo Franzone.
Piermaria Maraziti.
Simone Tripodi.
– Alberto Panicucci
.
Tommaso Mannelli.
Matteo Del Chicca.
Alessandro Allegra.
Andrea Angiolino.
Daniele Tarini.
Francesco Ruffini.
Lorenzo Trenti.
Michele Gelli.
Marco Picone.
Massimo Bianchini.
Francesco Caravelli.
Marco De Stefani.
Dario Cherubino.
Vladimiro Fugelli.
Agostino Salvatore.


Conduttori: Fabrizio Paoli e Andrea D’Urso.


Il fatto che molti di questi siano degli autori giÓ affermati, o comunque esperti esponenti dell’industria, ha a mio avviso reso l’incontro molto meno interessante per loro di quanto lo possa essere per un giovane che aspira a diventare autore di giochi e pu? trovare in queste pagine un vademecum creato insieme a queste persone da uno dei pi¨ illustri ed esperti esponenti del mercato mondiale.


Il tutto parte con un certo imbarazzo, creato dal fatto che i presenti non sanno per lo pi¨ cosa aspettarsi dall’incontro. Il relatore, assistito dall’interprete (Anna Aglietti), invita subito gli autori a fargli domande, visto che l’incontro Þ fissato per due ore di durata e minaccia di parlare molto di pi¨ se lasciato fare a ruota libera.
Rompe il ghiaccio lo stesso Paoli che chiede che differenza passa fra essere appassionato e lavorare con la propria passione.
La risposta Þ secca e ironica: Scadenze! Dopo la risata generale segue la spiegazione di un altro punto di vista fondamentale: non basta pi¨ cercare ci? che ci piace ma bisogna cercare ci? che piace al pubblico.
Alla richiesta di altre domande alcuni dei presenti chiedono come poter creare facilmente ambientazioni, avventure o giochi completi veri e propri.
Steve dimostra disappunto per quelle che evidentemente non sono le domande che lui vuole che gli altri gli facciano, e affermando che pi¨ o meno gli chiedono tutti le stesse cose decide di proseguire lui nel creare un discorso spiegando qual Þ il processo creativo di un gioco secondo la sua visione.
Prima di iniziare per? specifica che chiunque voglia pu? interromperlo senza problemi per fare domande o anche per puntualizzare su aspetti che magari risultano sbagliati in quanto Jackson conosce bene il suo mercato, quello USA, e non allo stesso modo quello europeo; quindi con un (devo dire inconsueto) gesto d’umiltÓ invita a correggerlo anche per contribuire alla sua educazione in merito.
Si parte con una serie di domande che ci si dovrebbe fare quando si crea un gioco:
– Di quali abilitÓ ho bisogno per creare un gioco? le possiedo?
– Cosa c’Þ giÓ nel mercato che quindi non serve rifare?
– Servono abilitÓ matematiche o altro tipo di conoscenze speciali per creare questo gioco?
In particolare puntualizza che per lui Þ importante affezionarsi poco al concept iniziale del gioco, e accettare l’idea che questo cambierÓ radicalmente dall’idea iniziale alla versione finale.
Un altro punto importante Þ il rapporto fra il tema del gioco e le meccaniche dello stesso: Steve afferma che di solito in USA si parte da un’idea di “Tema” su cui fare il gioco e poi si sviluppano le regole in base a quel concetto, mentre in Europa Þ pi¨ tipico pensare ad una meccanica di gioco e poi trovare in un secondo momento un tema da applicarvi.
Interviene Andea Angiolino puntualizzando il fatto che il sistema sopra citato Þ soprattutto quello tedesco. Jackson asserisce ma continua a chiarire che pur comprendendo questo tipo di approccio lui preferisce iniziare dal tema.
Una volta scelto questo, si decide se fare un regolamento che cerchi per lo pi¨ la simulazione estrema o un approccio pi¨ astratto, e comunque lascia intendere che lui solitamente trova vincente il secondo metodo.
Un’altra cosa a cui bisogna pensare subito, inaspettatamente, Þ per lui la componentistica di gioco: a suo avviso va pensata da subito e il gioco deve essere fatto in base a questo, anche perchÞ quando si presenterÓ il gioco ad un editore sarÓ molto importante questo punto: lui stesso spesso non ha pubblicato un prodotto perchÞ richiedeva componentistica troppo complessa e costosa.
Divide poi schematicamente questo aspetto in 4 livelli, dal pi¨ economico al pi¨ pomposo e ricco.
Il livello pi¨ basso comprende quel tipo di componentistica che il giocatore potrebbe crearsi anche a mano, da solo, passando poi a oggetti pi¨ seri e sfarzosi che danno grande soddisfazione visiva ma ovviamente costano un po’ di pi¨.
Interviene uno spettatore chiedendo: si pu? fare un gioco direttamente in pi¨ edizioni di vari livelli di qualitÓ? La risposta Þ che di solito si procede pi¨ cautamente, creando una prima versione “normale” e poi, in caso di successo, edizioni successive, magari a tiratura limitata, pi¨ preziose e lussuose.
Si torna quindi al discorso principale, indicando che l’ultimo livello, il quarto, comprende giochi che, con miniature, tiles e segnalini vari di vari materiali, diventano un qualcosa che Þ anche un bel giocattolo, e fa urlare “O mio Dio, lo devo avere!”.
Tommaso Mannelli interviene con quella che Þ un po’ domanda e un p? affermazione, dicendo che a suo avviso Þ molto difficile spiegare qualcosa senza l’ausilio di materiale fisico adeguato, come nei GDR,  nei quali la componentistica Þ pressochÚ nulla.
Steve afferma che a lui comunque piace giocare di dialogo, ma ovviamente quando ci sono miniature ed elementi il tutto Þ pi¨ agevole e bello.
Risponde Mannelli che chiede un parere su eventuale componentistica per GDR.
Il parere dell’illustre relatore del seminario Þ che la cosa Þ sempre interessante, ma comporta dei grossi aumenti di costi, quindi Þ preferibile ci? che si fa spesso ultimamente, ovvero pubblicare in formato elettronico mappe ed elementi extra gratuiti a supporto dell’opera base, che i giocatori potranno scaricare e stampare.
Altra domanda che viene posta Þ come ci si rapporta in questi moduli online con l’annoso problema della traduzione e localizzazione. Steve spiega che una volta questo non era un grosso problema perchÚ il mercato era concentrato per lo pi¨ negli USA, ma adesso che anche in Europa esso sta crescendo si tende a rendere disponibili in questo formato sempre pi¨ parti che non pongano il problema; si parla ad esempio di immagini o comunque materiale che sfrutti icone o simboli come indicazioni.
Puntualizza poi che questi sistemi diventano progressivamente pi¨ vantaggiosi man mano che migliorano le tecnologie a disposizione degli utenti per scaricare e per stampare con poca spesa i moduli, e spera che in futuro questo aspetto migliori sempre pi¨.
Racconta anche un aneddoto sul fatto che gli Þ stato consegnata una volta la demo di un gioco stampata in casa ma in maniera molto professionale, con stampante laser e su laminati, e la casa editrice l’ha tenuto cosý com’era vista la qualitÓ.
Viene posto a tal proposito il quesito sul problema pirateria e diffusione illegale di manuali di GDR, che effettivamente vedono tutto il loro contenuto commerciale nella parte stampabile.
Steve Jackson risponde con un simpatico “Kill ’em All!” (Uccidiamoli tutti), ma poi, placate le risate, spiega che anche se il problema Þ sentito, secondo la loro filosofia Þ meglio rischiare che qualcuno rubi il materiale scaricandolo illegalmente piuttosto che applicare complessi sistemi di protezione che rendano la vita difficile anche agli utenti paganti. Afferma che a suo modo di vedere chi usa manuale pirata non comprerebbe in ogni caso il gioco, quindi non Þ un acquirente perso.
Angiolino dunque chiede delucidazioni su come la Steve Jackson Games si comporti riguardo al materiale prodotto dai fans. Secondo Steve questo materiale non influisce negativamente sulle vendite, ma indebolisce un po’ il marchio in quanto il materiale auto-prodotto non Þ controllato dalla casa. In casi in cui il materiale in questione piace particolarmente comunque la loro filosofia Þ quella di comprare il materiale dai fan che lo hanno prodotto pubblicandolo poi. Un esempio Þ quello di Munchkin: sul sito del gioco c’Þ un’apposita sezione in cui i fan possono sottoporre le loro idee per nuove carte da inserire nel gioco. Ne esce fuori una quantitÓ di roba definita senza mezzi termini “stupida e inutile”, ma quella carta su cento considerata geniale o comunque bella viene pubblicata in una successiva espansione citando il nome dell’utente e regalandogli una copia del gioco.
Alcuni dei presenti a questo punto sollevano un quesito un po’ singolare: se si gestisce un’avventura o ambientazione decisamente particolare, con riferimenti a politica e religione riguardo fatti, persone o ideologie esistenti, rischiando oggigiorno di incorrere in problemi, come fare a risolvere il problema?
Ironicamente Steve suggerisce che se si offende qualcuno si rischia di vedersi esplodere la casa, ma poi consola i giovani autori dicendo che lui non ha mai visto accadere nulla del genere. Comunque il discorso si articola sul problema di affrontare temi delicati senza dare l’impressione di voler “catechizzare” qualcuno, e alla fine le conclusioni di Steve sono che:
– Se non vuoi sembrare un predicante devi evitare di predicare.
– Se eviti ci sarÓ comunque chi pensa che stai predicando.
– In ogni caso sicuramente noi italiani conosciamo meglio la risposta del pubblico italiano al tema che gli mettiamo davanti.
Il discorso viene riportato sulla linea originale, e si passa su un punto che sta molto a cuore al relatore: il play testing.


Steve Jackson qui afferma che una cosa importante Þ creare il prima possibile una versione del gioco col minimo indispensabile per iniziare a testarla, e quindi provarla con quante pi¨ persone disponibili. Usciranno fuori tanti errori e soprattutto il gioco spesso partirÓ da una base molto complessa e con i test andrÓ a semplicizzarsi sempre pi¨. Viene fatto l’esempio di un blocco di marmo che pian piano viene ridotto ad una bella statua.
Paoli poi chiede se Þ pi¨ importante la giocabilitÓ o il realismo, e Jackson specifica che Þ soggettivo, pur ritenendo lui fondamentale la giocabilitÓ, perchÞ di solito se il gioco Þ troppo complesso nessuno avrÓ voglia di andare avanti ad esplorarlo fino a scoprire perchÚ Þ tanto bello e intelligente. Anche il target del gioco del resto Þ importante nella scelta: bisogna individuare a chi lo si vuole vendere: se ad un pubblico che desidera prodotti pi¨ complessi o ad uno desideroso di qualcosa di pi¨ semplice.
Altra cosa importante Þ che se si modifica un elemento del gioco deve cambiare tutto di conseguenza, altrimenti potrebbe fermarsi il play-test e con esso il lavoro.
Mannelli chiede se la localizzazione del gioco sia considerata importante dall’inizio; ad esempio se ci sono molti giochi di parole. Ovviamente, specifica Steve, non sapendo lui tutte le lingue pensa il gioco in inglese, e poi i traduttori si occuperanno di sistemare il resto. E’ anche vero, afferma, che specialmente per giochi umoristici come Munchkin pu? accadere che una carta non abbia nessun senso una volta tradotta. In questi casi essa si elimina e se ne crea una pi¨ adatta per quella lingua.
Si torna poi a trattare il play-test, parlando di una fase successiva che molti sottovalutano ma che alla SJ Games Þ considerata importantissima: il Blind Test, ovvero una verifica allo stato molto avanzato di sviluppo e attuata da persone che non hanno mai visto prima il gioco; qui l’autore assiste ma non parla, in modo da verificare come la gente si rapporti alle sue regole senza il suo diretto supporto.
Si chiede quali siano i migliori play-tester. Steve risponde parlando un po’ dei vari tipi esistenti specificando che Þ meglio cercare qualcuno che assomigli al proprio target, che ci sono quelle persone che propongono cosý tanti cambiamenti che tanto varrebbe che facessero il loro personale gioco, e cosý via.
Alberto Panicucci chiede poi come sia stato possibile testare un regolamento universale come GURPS. La risposta Þ che in quel caso gli autori hanno barato: hanno testato innanzitutto ci? che interessava maggiormente ai giocatori del regolamento: come si uccidono i personaggi, con il combattimento; da lý si Þ poi passati al movimento, ovvero come si va ad uccidere i personaggi o come si fugge da quelli troppo forti, e cosý via fino ad allargarsi a tutto il regolamento e cercando di rimanere coerenti con il concept iniziale.
Fabrizio Paoli suggerisce che i test migliori sono quelli che toccano i limiti del gioco, opinione largamente condivisa dai presenti e anche dal relatore; questi ci spiega che Þ molto importante testare sia con giocatori che cercano di vincere a tutti i costi, sia con quelli che fanno cose stupide e insensate, al fine di verificare tutti i buchi delle regole.
Poi viene chiesto se esista un gruppo di play-testing in Europa: la risposta Þ affermativa; anzi, per Munchkin Impossible a quanto pare  Þ perfino uscita prima la versione europea perchÚ la Pegasus, distributrice in Germania, lo voleva in tempo per Essen (l’importante evento tedesco dedicato ai boardgames in particolare).
Franzoni chiede quali tester Þ meglio accontentare dei due tipi sopra-citati; Steve risponde che sarebbe bello avere un gioco che accontentasse tutti e due ma sarebbe il gioco perfetto che in realtÓ non esiste. A suo avviso c’Þ anche una terza categoria, quella dei giocatori “sociali”, accontentata se al di lÓ di tutto il gioco offre una buona possibilitÓ di interagire con gli altri, magari di muoversi anche quando non Þ il proprio turno. E’ difficile trovare un gioco che accontenta tutti perchÞ le persone sono diverse: alcuni preferiscono regole complesse e altri no; alcuni non possono permettersele per problemi di tempo, altri invece hanno problemi col “numero ideale di giocatori”. Insomma il gioco assoluto non esiste: meglio cosý, almeno c’Þ pi¨ lavoro…
Chiede poi Alberto Panicucci se ci sono grandi differenze fra giocatori USA ed europei. Jackson risponde affermativamente specificando che a volte addirittura con i tester USA gli Þ capitato che rifiutassero di testare un gioco perchÞ non gradivano il tema.
Si chiede poi se si sia pensato a regolamenti universali per boardgame e wargame, e Mr. Jackson afferma di averne fatto lui stesso uno per wargame ai tempi del college, trent’anni fa. Gli piacque molto come esperimento ma pensa che per il mercato di oggi sarebbe troppo complesso.



Riguardo poi al proporre un proprio gioco da pubblicare agli editori, Steve Jackson raccomanda i giovani autori di farlo con tipologie di giochi che l’editore giÓ tratta, e non quelli su argomenti non disponibili nel catalogo pensando di colmare il vuoto: di solito quell’editore non Þ interessato proprio al genere se non ha pubblicato nulla.
Inoltre si esortano gli autori a non immaginare le reazioni dell’editore, ma a informarsi su tutto: se esiste una procedura e si chiede qual’Þ la si potrÓ seguire alla lettera evitando problemi; se invece proprio non interessa quel tipo di prodotto almeno lo si capisce subito e si evita un’inutile fatica.
Per loro della SJ Games questo Þ anche un test di ingresso: se non vuoi seguire la procedura non hanno tempo da dedicarti, citando testualmente: “La vita Þ troppo corta per discutere con gli stupidi”.
Altro passaggio obbligato Þ il contratto: appena c’Þ qualcosa di concreto relativamente al rapporto di pubblicazione, patti chiari amicizia lunga, come si suol dire.
Infine Steve raccomanda ai giovani autori di aiutare, una volta famosi, altri colleghi emergenti, trasferendo loro la propria esperienza.
Marco De Stefani chiede poi se sia mai capitato a Steve Jackson di avere per le mani un gioco che sulla carta era ottimo ma che non ha poi avuto successo.
La risposta, oserei dire consueta in questi casi, Þ che nulla Þ prevedibile: quando lo hanno testato Munchkin Þ piaciuto subito a tutti ma questo non voleva dire automaticamente che avrebbe avuto il successo che poi in realtÓ c’Þ stato. Bisogna dunque impegnarsi e sperare di avere anche un po’di fortuna.
Un’ultima interessante domanda la pone Picone, chiedendo se sia utile provare a proporre un proprio concept di gioco su pi¨ fronti (boardgame, giochi di carte, videogiochi e altro) sperando in una pubblicazione in almeno un settore.
L’opinione del relatore Þ che, specie quando si Þ all’inizio, Þ meglio concentrare tempo e risorse su un singolo target.


A questo punto, passate ben due ore dall’inizio del seminario, Steve Jackson ha salutato i presenti e con un’ancora inconsueta modestia ha detto che la prossima volta spera di condurre meglio la discussione.


Finisce cosý questo incontro sul tema della creazione di giochi e dell’approccio al mercato, condotto da un illustre veterano che pu? contare su una discreta serie di storie di successo, ma che devo dire non manca mai di far pesare questo aspetto a chi gli si relaziona.


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